Vittime del dovere in caso di caduta accidentale: è possibile il riconoscimento dei benefici?
Spesso l’Amministrazione non riconosce la qualità di “vittime del dovere” ai dipendenti pubblici che si infortunano durante lo svolgimento di attività non ricomprese espressamente nella nozione di “vittime del dovere” fornita dalla legge (ne ho parlato anche qui).
In molti casi, infatti, l’infortunio è causato da una normale attività di servizio che si è rivelata, col senno del poi, molto più pericolosa di quanto si pensasse.
Il risultato è un infortunio, anche grave, e il solo riconoscimento della “causa di servizio” e niente di più.
In realtà qualsiasi attività di servizio può condurre al riconoscimento della qualità di “vittime del dovere”.
Con una recente sentenza (Corte di appello di Palermo, Sez. Lavoro, sentenza n. 1080 del 17 gennaio 2020) la giurisprudenza prova a fare chiarezza sull’argomento.
Il caso. Vittime del dovere in caso di caduta accidentale?
Un agente di polizia doveva aprire un locale di una caserma, destinato ad ospitare un corso di formazione.
Per azionare l’interruttore generale, l’agente era dovuto salire su una scala metallica.
Ad un tratto, a causa della scarsa illuminazione e della presenza di escrementi di uccelli nel soppalco, cadeva dalla scala riportando lesioni.

Chi sono le vittime del dovere?
Prima di vedere la soluzione offerta dalla sentenza, chiariamo cosa prevede la legge sui requisiti per il riconoscimento della qualità di vittime del dovere.
La categoria delle vittime del dovere è stata introdotta dall’art. 1, comma 563, legge 266/2005 (legge finanziaria 2006).
Essa comprende qualsiasi dipendente pubblico che siano deceduto o che abbia riportato una invalidità permanente in servizio, in occasioni di contrasto alla criminalità di ogni tipo, servizi di ordine pubblico, azioni di soccorso, azioni internazionali, tutela della pubblica incolumità (ne parlo anche in questo articolo).
Ma non finisce qui.
Infatti, il successivo comma 564 amplia il novero dei potenziali beneficiari, introducendo la categoria dei “soggetti equiparati alle vittime del dovere”, a queste condizioni:
- E’ necessario avere riportato una invalidità permanente (o la morte);
- I fatti devono essere avvenuti in occasione di mansioni, compiti, funzioni, incarichi, incombenze di qualunque natura, quali che ne siano gli scopi. Le “missioni” possono essere svolte sia in Italia che all’estero, ma devono essere autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente (vd. anche art. 1 D.P.R. 243/2006, consultalo qui);
- Le lesioni (o la morte) devono essere riconosciute dipendenti da causa di servizio “per le particolari condizioni ambientali od operative”, e cioè per condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto (vd. anche art. 1 D.P.R. 243/2006, consultalo qui).
Qual è la differenza tra le “vittime del dovere” (comma 563) e i “soggetti equiparati alle vittime del dovere” (comma 564)?
Gli effetti e i benefici sono esattamente gli stessi.
In ogni caso può essere riconosciuta:
- Una somma pari a € 200.000,00 una tantum in caso di morte, da ripartirsi, in parti uguali, tra gli eredi;
- Una somma pari a € 2.000,00 per ogni punto di invalidità;
- Un assegno vitalizio da € 1.033,00 al mese;
- Esenzioni da prestazioni sanitarie, esenzioni in materia di istruzione e altre ipotesi.
Tuttavia, ciò che cambia è il presupposto di applicazione delle due figure.
Infatti, per le “vittime del dovere” (comma 563) la legge individua una serie di attività ritenute comunque pericolose, che attribuiscono automaticamente la qualità di vittima del dovere in caso di lesioni o morte del dipendente.
Queste attività sono: il contrasto alla criminalità di ogni tipo, servizi di ordine pubblico, azioni di soccorso, azioni internazionali, tutela della pubblica incolumità.
Ad esempio, se un pubblico dipendente subisce una lesione durante lo svolgimento di attività di tutela della pubblica incolumità, il presupposto della norma è integrato senza bisogno di ulteriori dimostrazioni.
Al contrario, per i “soggetti equiparati alle vittime del dovere” (comma 564) la norma è destinata a qualsiasi altra mansione che non sia ricompresa nell’elenco del comma precedente.
In questo caso, tuttavia, non è sufficiente dimostrare di avere subito una lesione (o la morte) ma è necessario provare che i fatti siano stati determinati da circostanze straordinarie, conosciute sin da prima oppure anche sopraggiunte all’improvviso o inaspettate.
Riconoscimento della qualità di vittime del dovere in caso di caduta accidentale da una scala, ma solo in presenza di circostanze ulteriori e impreviste.
Veniamo ora alla soluzione offerta dalla Corte di appello di Palermo al caso in questione: si può ottenere il riconoscimento della qualità di vittime del dovere in caso di caduta accidentale?
Come detto, l’agente di polizia era caduto da una scala a causa della scarsa illuminazione e della presenza di escrementi nel soppalco, riportando lesioni permanenti.
Secondo la Corte è indubbio che l’agente stesse effettuando un compito stabilito dal proprio superiore gerarchico.
Inoltre, lo stesso si era trovato a fronteggiare “una situazione di fatto comportante un impegno psico-fisico e un maggiore rischio eccedente il proprio servizio”.
Infatti, l’assenza di luce e la presenza di escrementi di uccelli nel soppalco avevano configurato un pericolo superiore a quanto l’agente si potesse aspettare dallo svolgimento del compito ordinato, esponendosi a un rischio aggiuntivo rispetto al “normale”, e cioè eccezionale e non prevedibile.
In conclusione, la sentenza contempla il riconoscimento ai dipendenti pubblici della qualità di vittime del dovere in caso di caduta accidentale da una scala, se sussistono gli ulteriori requisiti di cui sopra.