Esistono casi in cui il dipendente pubblico, trasferito in mobilità ad un altro ente, sia soggetto a una “retrocessione” dell’inquadramento perché le tabelle di equiparazione introdotte nel 2015 (D.P.C.M. 26.6.2015) prevedono corrispondenze verso un profilo inferiore a quello assegnato in origine.
Non sempre il nuovo (e peggiore) inquadramento è legittimo.
Vediamo perché.

La legge.
La mobilità dei pubblici dipendenti è regolata, in generale, dall’art. 30 D.Lgs. 165/2001 (consultalo qui).
La mobilità è il passaggio diretto di un dipendente da un’Amministrazione a un’altra Amministrazione.
Non è necessario, peraltro, che le due Amministrazioni (cedente e cessionaria) appartengano allo stesso comparto. Infatti, la legge consente anche la mobilità del lavoratore verso una Amministrazione appartenente a un comparto diverso rispetto a quella di provenienza.
Pensiamo, ad esempio, al dipendente comunale che passa a un Ministero.
In questi casi (mobilità intercompartimentale) sorge il problema dell’inquadramento del lavoratore, perchè i sistemi di classificazione del personale cambiano da comparto a comparto.
Questo compito di adattamento è affidato dalla legge (art. 29 bis D.Lgs. 165/2001) a un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.). In particolare, il D.P.C.M. deve approvare una tabella di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione.
La tabella in questione è stata approvata con D.P.C.M. del 26.6.2015 (consultabile a questo link).
Sono stato trasferito in mobilità intercompartimentale con una procedura avviata prima del 26 giugno 2015. Sono stato dapprima inquadrato in un modo ma successivamente l’Amministrazione ci ha ripensato e ho subìto una retrocessione. E’ legittimo?
Capita che le procedure di mobilità possano durare parecchio tempo.
In questi casi, talvolta, l’Amministrazione di destinazione assegna al lavoratore un inquadramento provvisorio, riservandosi di rivederlo sulla base delle tabelle predisposte ai sensi dell’art. 29 bis D.Lgs. 165/2001.
Comunque, più in generale, accade che l’Amministrazione muti unilateralmente l’inquadramento del lavoratore.
Se tale mutamento avviene in senso migliorativo, nessun problema. Ma un nuovo inquadramento peggiorativo, cioè una “retrocessione” del dipendente, è legittimo?
La risposta è no, e ci viene fornita proprio dal D.P.C.M. 26.6.2015, laddove si prevede che:
“Le corrispondenze fra i livelli economici di inquadramento stabilite nei quadri di cui agli allegati da 1 a 10 si applicano alle procedure di mobilità avviate successivamente all’entrata in vigore del presente decreto”.
(art. 4, comma 2, D.P.C.M. 26.6.2015)
Pertanto, l’inquadramento riconosciuto inizialmente dall’Amministrazione di destinazione non può essere smentito sulla base dell’entrata in vigore di un nuovo criterio di corrispondenza tra inquadramenti.
Peraltro ciò non è possibile neanche nelle frequenti ipotesi in cui la stessa Amministrazione, al momento della sottoscrizione del contratto, si era riservata la facoltà di rivedere l’inquadramento del dipendente in base alle nuove tabelle di equiparazione (all’epoca) non ancora approvate.
In conclusione, il dipendente che ha aderito a una procedura di mobilità iniziata prima del 26.6.2015 non può subire nessuna “retrocessione” perché il D.P.C.M. 26.6.2015 non può essere applicato.
In questi casi il dipendente può rivolgersi al Tribunale competente per domandare il ripristino dell’inquadramento originario e il pagamento delle differenze retributive, con il limite della prescrizione.